Orientare il futuro

L'orientamento scolastico è un processo fondamentale per aiutare gli studenti a prendere decisioni importanti per il loro futuro educativo e professionale. Attraverso questo percorso, gli studenti vengono guidati nella scoperta delle proprie passioni, abilità e interessi, al fine di scegliere il percorso formativo più adatto alle loro caratteristiche personali. 

Nel quaderno dell'orientamento di dentro tutti viene approfondito il pensiero a riguardo di Maurizio Del Conte, Professore di Diritto del Lavoro all'Università Bocconi, che riportiamo di seguito.

Il futuro di un Paese dipende dalla spinta delle nuove generazioni. Ma in Italia i giovani sono sempre stati considerati più un problema che una risorsa da valorizzare. Ai giovani le imprese si rivolgono soprattutto per lavori a bassa qualifica, spesso in abbinamento a contratti precari e poco retribuiti. Ci si lamenta del mismatch tra le competenze richieste e quelle possedute dai giovani, ma non si affronta mai con la determinazione che richiederebbe il problema di come ricostruire una filiera che riconcili la scuola, l’orientamento e la formazione professionale.

Sull’orientamento, in particolare, si scarica l’onere sui professori invece di dotare il sistema scolastico, come avviene nei Paesi più virtuosi, di orientatori professionisti che conoscano anche il mercato del lavoro. Il nostro Paese registra un progressivo allontanamento dei giovani dai percorsi formativi superiori e dal lavoro, fino ai livelli record che registriamo oggi e che ci collocano agli ultimi posti nel panorama internazionale.

A partire dalla fine del secolo scorso, i numerosi governi che si sono succeduti hanno provato a introdurre specifiche misure di stimolo alla attivazione dei ragazzi e delle ragazze italiane. Eppure, a conti fatti, gli sforzi sin qui prodotti non hanno prodotto i risultati attesi. E anche chi si era illuso di trovare una facile scorciatoia anticipando il pensionamento dei lavoratori più anziani, deve oggi riconoscere che quella manovra non ha portato alcun significativo ricambio generazionale.

Nel frattempo la pandemia, che ha cambiato le prospettive di crescita dell’economia globale, ha spinto l’Europa a varare il piano “Next generation EU” che, già nel nome, sottolinea l’enfasi posta sul futuro dei giovani. Il governo italiano ha ricondotto l’iniziativa europea nel c.d. piano Garanzia Occupabilità dei Lavoratori che, nel quadro di un generale potenziamento dei servizi per l’impiego, ha individuato alcune misure dedicate alla platea dei NEET, come la realizzazione di sportelli dedicati all’interno dei centri per l’impiego, con l’obbiettivo di offrire una più capillare ed efficace attività di orientamento e presa in carico dei giovani. Si tratta di misure certamente utili, ma nel complesso insufficienti per affrontare un fenomeno che riguarda, ormai, un quarto dei giovani italiani. Occorre un radicale cambio di approccio al problema, che ne affronti con coraggio le cause e ricomponga il percorso di vita delle nuove generazioni dalla fine della fase scolastica fino all’ingresso nel lavoro. Perciò è necessario superare le resistenze anacronistiche di una ancora diffusa cultura gentiliana della scuola, che vede nel lavoro un elemento di corruzione della purezza educativa. Per fortuna ci sono modelli che hanno funzionato e dai quali avremmo il dovere – e la giusta umiltà – imparare. La Germania ha dimezzato il tasso di inattività dei giovani in una decina di anni, proprio mentre nello stesso periodo, in Italia, si ingrossavano le file dei NEET.

Occorre aiutare le scuole a fare bene l’alternanza, supportandole con professionisti dell’orientamento e del mercato del lavoro e non abbandonando i professori a fare un mestiere che non è il loro. Occorre disboscare la giungla della formazione professionale, tagliando i troppi rami secchi e investendo nelle istituzioni formative sulla base dei risultati raggiunti. Occorre rafforzare il sistema degli ITS, incentivando le imprese a partecipare attivamente ai percorsi formativi e a mettere a disposizione le loro strutture laboratoriali e le loro competenze. E occorre realizzare un monitoraggio continuo dei corsi di studio impartiti dagli atenei, ridefinendo il sistema dei finanziamenti in modo da sviluppare l’offerta delle competenze più richieste dalle imprese e dalla società nel suo complesso, a partire – certo – dalle cosiddette competenze stem, ma non solo, come ci ha insegnato la grave carenza di medici e paramedici. Per fare tutto questo occorre sfatare la falsa retorica dei giovani amanti del divano, riconoscendo che le nuove generazioni non si aspettano né miracoli né mancette, ma strumenti utili per costruirsi un percorso professionale di soddisfazione.

 

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